Impariamo a dire grazie
Riconoscenza è sapere e ammettere d’aver ricevuto un bene o un servizio, e sentire gratitudine verso chi ce l’ha fatto. La persona riconoscente vede in ciò che usa non solo cose, ma anche le persone che le hanno preparate, legge le cose come espressione d’una sollecitudine, forse anche d’un amore.
La famiglia è il regno della gratuità perché è il luogo dell’amore primario ; ciò consente di non sentirsi debitori, ma riconoscenti sì. La gratuità dispensa dall’obbligo della restituzione, ma non da quello della riconoscenza. Il bambino scopre di essere amato in ciò che riceve ; la vita di famiglia, nella quale spesso si riceve addirittura prima di chiedere e tutto è gratuito, dovrebbe sviluppare quell’atteggiamento superfluo ma tanto necessario che è la riconoscenza. E sarebbe opportuno che essa si concretizzasse, di tanto in tanto, in gesti palesi con i quali non dico si restituisce, ma si riconosce e si ricambia il servizio ricevuto. Perché i sentimenti mai detti finiscono per non essere veri o per non esserci affatto.
C’è qualcosa di liturgico nella gratuità dei servizi in una famiglia o in una comunità. Ci viene in aiuto l’etimologia della parola. Leiturghìa, nella lingua greca, significa appunto servizio, precisamente <<ogni servizio reso da un cittadino allo Stato, a proprie spese>>. Ci piace ringraziare il Signore per i beni che dissemina nella nostra vita. Per chi crede poi, l’eucaristia è il tipico grazie che Gesù ci ha messo nelle mani ; difatti eucharistìa e il verbo eucharistèo, sempre nella lingua greca, significano rendimento di grazie, ringraziare, essere grati. Il credente legge il creato come in filigrana, vi legge in trasparenza la bontà e la generosità del Signore che si rivela come puro dono. Il ringraziamento è un sentimento fondamentale in chi prega. Allo stesso modo, c’è qualcosa di eucaristico nel dire grazie a chi ci ha fatto del bene.
Dobbiamo abituarci a cogliere l’umano nelle cose e nei gesti delle persone. Le cose possono essere viste semplicemente in quanto servono, allora sono soltanto oggetto di consumo, ma possono anche essere considerate in quanto dicono. Nel primo caso, noi le prendiamo e le utilizziamo e subito passiamo oltre ; nel secondo caso, ci fermiamo sopra l’attenzione e ascoltiamo ciò che narrano. Un pane è un pane, ma se è sopra la tavola imbandita è un’altra cosa, è un pane portato dalle mani di qualcuno e messo lì per noi ; è un pane che dice.
Molte cose che noi utilizziamo o certi loro particolari, la premura, la cura, per esempio, con cui sono state disposte, sono nati dal desiderio di dirci qualcosa, qualcosa che, in molti casi, ha che fare con l’amore.
Bisogna coglierlo tutto questo e far capire che lo si è colto. Ma normalmente non ci pensiamo, perché siamo più portati a notare e far notare quanto diamo che quanto riceviamo, ci esalta di più sentirci generosi che debitori, benefattori che beneficati. La persona riconoscente è sempre innanzi tutto una persona attenta. La riconoscenza è un fatto di interiorità, di risonanza interiore, di capacità di lettura introspettiva dei messaggi. Non si è riconoscenti per caso. E, vorrei aggiungere, è anche un fatto di nobiltà d’animo.
Dire grazie, così facile, così difficile
Consideriamo, per esempio il lavoro domestico. Può essere un lavoro svolto volentieri, addirittura con amore ; allora contribuisce a far sentire la persona realizzata e contenta. Può invece essere affrontato come dura necessità, quasi come una condanna. Ma le disposizioni d’animo con cui lo si compie dipendono, in larga misura, da come viene considerato dai clienti, dai familiari che ne beneficiano : se lo apprezzano, se ne riconoscono la fatica e la preziosità, se collaborano, se sanno dire grazie, oppure se passano oltre. Senza una giusta e legittima gratificazione, nessun lavoro è amato.
Tutti i componenti della famiglia quindi contribuiscono, con il loro atteggiamento, a dare una specifica connotazione ai lavori di casa, e di conseguenza influiscono enormemente sullo stato d’animo della loro casalinga, a farla sentire signora o serva. A volte è la presenza stessa della persona che va colta come dono. Le persone forti per dono di natura o per destino rischiano di passare per invulnerabili, divenendo così oggetto di attacchi e ricatti non appena accennano a un gesto di stanchezza.
Grazie è una parola del tutto naturale per qualcuno, gli viene spontanea ; per altri è una parola straordinariamente difficile da pronunciare. Molti non la conoscono affatto, qualcuno addirittura la disdegna, ne sta in guardia perché ha l’impressione di abbassarsi, come si dice, pronunziandola, di sentirsi umiliato nel riconoscere d’aver ricevuto un servizio. Individui patetici. Come se fosse l’obiettività o la giustizia a far perdere la dignità.
Se ci abituiamo a familiarizzare con il grazie, con semplicità e naturalezza, ci verrà spontaneo collaborare e condividere la fatica dei lavori comuni ; amare significa anche questo : fare le cose insieme; smetteremo di limitarci ad attendere e pretendere, come se tutto ci fosse dovuto e sùbito, atteggiamento tipico del bambino che sa solo chiedere. Queste persone, che vivono un abituale atteggiamento di attesa e pretesa, sono le medesime che enfatizzano ciò che fanno esse e minimizzano ciò che fanno gli altri ; sentono se stesse come pilastri portanti della casa o della comunità, benefattori, e gli altri debitori.
Tra persone che si amano, ognuna ha l’impressione che quanto riceve sia sempre più grande di ciò che dà. E lo ricorda. L’etimologia di ricordare è suggestiva ; il verbo deriva dal latino recordor, recordari, composto da cor, cuore, e dal prefisso re-, indicativo di un cammino a ritroso, un ri-tornare indietro ; quindi, nel caso nostro, dare e ridare il cuore, rivolgere la mente, la memoria, al gesto da cui ci è pervenuto un bene o un servizio.
Neppure quando malauguratamente ci si separa da una persona, si deve disconoscere ciò che si è ricevuto : un oggetto, la compagnia, l’affetto. Nessun astio e nessun risentimento possono annullare il passato e far sì che i momenti di felicità che si sono vissuti non siano stati vissuti. Negarli significherebbe essere insinceri prima ancora che ingiusti, e alla fine indegni di averli ricevuti.
La riconoscenza ha il misterioso potere di amalgamare le persone, di far circolare sentimenti vitalizzanti e rivitalizzanti, di creare quel clima di cordialità che tanto contribuisce allo star bene insieme.
Il grazie è un eccellente cardiotonico o analettico per chi lo riceve. Ha un forte valore di sostegno e di stimolo, per chiunque, ma specialmente per chi, non essendoselo mai sentito dire, o per altre ragioni, è cresciuto e giace in un sentimento di disistima verso di sé, e non riesce a persuadersi di essere capace di qualcosa di apprezzabile. Il grazie che riceve è un amabile invito a rivedere la sua convinzione.
Basta pensare a ciò che avviene dentro di noi quando ci sentiamo ringraziare : gli occhi si alzano, s’incontrano, qualcosa si scioglie, si dimentica se si ha qualcosa da dimenticare, le ferite rimarginano se ci sono ferite, il cuore si sveglia dal torpore e palpita, ci si sorride, si riprende a dialogare. L’amore insegna a dire grazie, il grazie fa nascere l’amore.
(brano tratto dal libro Cammino di guarigione interiore di Giuseppe Colombero )
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