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I VASULARI UN ANTICO MESTIERE

254.L’ultimo dei “vasulari” Tommaso Martire – Un pezzo di storia della vita di una famiglia di scalpellini alle falde del Vesuvio

Mentre il fuoco sotto i piedi contamina i miei pensieri, continuo a vivere o meglio a sopravvivere sperando, con la convinzione che morire non è chiudere per sempre.

Questa storia è frutto del caso, ma il caso non esiste, l’uomo è quasi sempre padrone della sua vita, può dominarla fino in fondo, ma l’ultima parola comunque, non è mai la sua, è sempre di un Altro.

porto di Amalfi(foto scattata durante la costruzione della banchina del porto di Maiori, ci sono zio Giuseppe e nipote Tommaso – l’ultimo posatore di basole)

Boscoreale è un piccolo paese in provincia di Napoli e oggi conta quasi trentamila abitanti, tutti aspiranti cittadini, chissà se lo diventeranno per davvero un giorno.

Le premesse non ci sono ma la speranza non deve mai abbandonare l’uomo.

Il paese è adagiato sul lato sud-est del Vesuvio e anche se gli abitanti non possono avvertirlo fisicamente, sotto i loro piedi c’è un grande calore che sicuramente influenza il loro carattere e le loro azioni.

L’economia del posto si è trasformata in modo caotico, così come lo sviluppo urbanistico.

Il territorio, in passato, era prevalentemente agricolo, sfruttava appieno le qualità del suolo vulcanico fertilissimo, poi sfruttava l’altra grande risorsa vulcanica: la pietra lavica.

C’erano tra i più bravi artigiani scalpellini e tanti maestri posatori di basole, dai quali chi scrive discende direttamente, la famiglia Martire.

Erano soprannominati i “mezza pippa”, e hanno lasciato una testimonianza dei loro lavori in mezza Italia, strade, banchine di porti, piazze, portoni, che sfidano i decenni se non i secoli, e solo la manomissione da parte di maestranze non più all’altezza può distruggere i loro manufatti che sono in alcuni casi delle vere opere d’arte.

(Nel filmato vediamo il cortile interno del Maschio Angioino completato nel 1951)

Un esempio fra tanti, lo scempio della pavimentazione davanti all’entrata della casa Comunale di Boscoreale. Nel 2007 nel corso dei lavori di riqualificazione del Centro Storico, la ditta esecutrice dei lavori ha divelto quella pavimentazione, nonostante la soprintendenza avesse impartito ai tecnici comunali di non far toccare quel basolato. (foto prima

e dopo?).

 

Il ripristino purtroppo non ha dato buoni risultati, così come tutti i lavori di rifacimento del vecchio basolato, le pavimentazioni sono inguardabili.

Fa tanta rabbia vedere con quale facilità le Amministrazioni Pubbliche distruggono le opere di abili artigiani, e fanno eseguire i lavori senza mai controllare preventivamente se le ditte hanno le maestranze all’altezza di lavori altamente qualificati.

Il capostipite dei “mezza pippa” si chiamava Francesco dal quale nacque Tommaso, mio nonno, che non ho potuto conoscere perché è morto l’anno della mia nascita 1958, che aveva altri due fratelli, Raffaele e Gennaro. Dal matrimonio di nonno Tommaso erano nati sei figli maschi, Francesco, mio padre,

 

Vincenzo, di cui porto il nome, Raffaele, Gennaro, Carmine e Giuseppe, tutti posatori di basole, nonché abili scalpellini.
Famiglia Martire, scalpellini e posatori di basole di Boscoreale

Famiglia Martire, scalpellini e posatori di basole di Boscoreale.

Il curioso soprannome deriva da un episodio accaduto mentre si svolgevano dei lavori stradali con scalpellatura delle basole, una scheggia di pietra colpì la pipa del bisnonno spezzandola in due, da qui “mezza pippa”.

La squadra di lavoro tipo era mediamente così composta: il mastro “vasularo”, due “votta palo” che preparavano, ciascuno un piano di posa, sul quale il manovale addetto alla preparazione della malta versava la stessa, essi poi vi adagiavano la pietra da posare e la tenevano ferma con un palo di ferro, mentre il mastro “vasularo” vi batteva sopra con una mazza di ferro da otto chilogrammi circa per metterla a livello.

Completavano la squadra, il misuratore che selezionava le pietre da posare scegliendole della stessa larghezza o se c’era bisogno segnava il pezzo in più da tagliare, e questo lavoro era affidato a uno o a volte anche due scalpellini, detti di “pianta”, che avevano anche il compito di preparare il pezzo di pietra per completare le file di basole sui lati, questo pezzo era a forma di triangolo, ed era chiamato “spighetto”.

Per la movimentazione delle pietre c’erano due portatori che in origine usavano un’asta di legno detta “varra” alla quale veniva agganciata una corda con catena, detta “musciello”, che serviva per imbragare la pietra, che una volta sollevata sulle spalle veniva portata sul luogo di posa, in seguito è arrivato il carrellino con le ruote, completava la squadra un manovale addetto al livellamento del letto di posa del lastricato, detto “uomo di pianta”.

Gli attrezzi degli scalpellini erano scalpelli di ferro a punta larga, a punta fine detti “puntilli”, corti e a punta larga detti “scapezzini”, mazzuola piccola per gli scalpelli, mazzuola media detta “mazzetta ‘e spacco” che dava il colpo finale dopo aver fatto delle incisioni nella pietra con il “puntillo” in gergo “puntiare” e divideva in due parti la pietra da posare, la bocciarda detta “buciarda” per lavorare la parte in vista delle pietre a buccia più o meno fine. Per i posatori c’era il classico piccone detto “sciamarro”, la mazzuola grossa da 8 kg circa detta “’a mazza”, il palo di ferro detto “’o pal e fierr”, i picchetti e le lenze guida fatte di cordame, c’erano infine gli attrezzi per l’impasto, cioè le pale, la zappa, i secchi in ferro per la malta, i cesti di legno intrecciato per il trasporto degli scarti delle lavorazioni, la carriola, la cazzuola.

Altri strumenti per il livellamento, detti biffe formate da una tavoletta di legno con palo di sostegno, dipinte di bianco, poi c’era il “biffone” che era più alto e fatto con due bande colorate, una rossa e una bianca sempre su sostegno. Il fatto sbalorditivo è che gli attrezzi per la lavorazione e la posa delle pietre sono rimasti quasi inalterati per millenni.

I mestieri millenari sono accanto a noi ma spesso non facciamo caso al loro valore storico che viene tramandato da secoli. Pensiamo per esempio al falegname che in alcune piccole botteghe adopera ancora l’attrezzatura usata da San Giuseppe e da Gesù che lo aiutava.

Lo stesso possiamo dire dei pescatori che in alcuni piccoli borghi usano ancora attrezzi e metodi di pesca di alcuni millenni fa.

Queste realtà sono una norma in quei luoghi, ormai sempre più rari, dove ancora non è arrivata la tecnologia, dovrebbero invece sorprenderci e incuriosirci quando li teniamo magari sotto le nostre case super tecnologiche o nei paraggi delle nostre città.

Quante volte osserviamo muratori, pescatori, falegnami, scalpellini, scultori, pittori, e non ci viene in mente che stiamo vedendo in diretta scene che ci fanno vedere la vita nel passato più remoto.

Veniamo ora all’ultimo posatore di basole (alcune foto dei suoi (capo)lavori): Tommaso Martire, mio fratello.

Tommaso nasce a Boscoreale il 21 aprile 1943, secondo di sei figli, dal papà Francesco nato il 27 maggio 1912, maestro indiscusso della lavorazione e della posa della pietra lavica, e da Carolina Ciardo nata il 20 maggio 1918, figlia di contadini, donna dal carattere forte e piena di coraggio, sua mamma Angela viene falcidiata dal più grande flagello del ventesimo secolo, l’influenza “spagnola”, che miete milioni di vittime in tutta Europa, e che morirà il 2 ottobre dello stesso anno a soli 24 anni, lasciando una figlioletta di appena 4 mesi.

Tommaso, che porta il nome del nonno, abilissimo lavoratore della pietra lavica, ben presto lascia la scuola per cui non si sente portato, e inizia ad andare a bottega, prima da un falegname, poi da un calzolaio, ed altre ancora, finchè un giorno non viene condotto alla “montagna”.

Una cava del Vesuvio, situata nel comune di Terzigno, dove tutta la famiglia Martire lavora la pietra lavica, producendo basole, cordoli, pezzi diversi per la costruzione di banchine di porti, e tutti quegli altri manufatti decorativi che servono ad adornare fabbricati, piazze, cortili, chiese ecc.

Inizia così la grande avventura che lo porterà ad operare in mezza Italia, insieme al papà e agli zii.

Vengono eseguiti lavori a MAIORI, Potenza, Termoli, Capri, Ischia, Napoli, Sorrento, Benevento, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata, Camerota, Palinuro, Nola, Saviano, Pompei, Scafati, Pozzuoli, Gragnano, e tante altre località.

Il lavoro del vasularo-scalpellino, va scomparendo, anche perchè c’è una grave carenza nell’esecuzione dei lavori da parte delle pubbliche amministrazioni, in quanto il ripristino del lastricato in pietra lavica dovuto all’usura del tempo, o nei lavori di ripristino dopo la posa di canalizzazioni non viene affidato a maestranze valide.

Si assiste così a uno scempio di quelle che sono delle vere opere d’arte.

Prima di far eseguire i lavori, la P.A. dovrebbe pretendere, dalle imprese affidatarie, delle garanzie specifiche sulla professionalità di chi eseguirà i lavori di ripristino del basolato, e spesso purtroppo, ciò non avviene.

In altri casi viene invece permesso dagli uffici tecnici, il ripristino del basolato con colate di asfalto, che sono dei veri e propri delitti.

Un esempio a via Vittorio Emanuele a Boscoreale. Foto sotto.



In un momento di grave crisi occupazionale, si potrebbero introdurre dei cantieri scuola per il delicato lavoro di posa della pietra lavica. Si potrebbero così ripristinare tutte le strade e i marciapiedi dell’area vesuviana e non solo. Facciamo un appello ai nostri Amministratori, di prendere in considerazione anche questo nostro piccolo contributo. Essi potranno comunque avvalersi della collaborazione di Tommaso Martire, “l’ultimo dei vasulari”, anche per tramandare uno dei più antichi mestieri ancora esistenti.

(Scritto da Vincenzo Martire, mancato scalpellino e mancato posatore di basole, che quando può, però, usa la penna come uno “sciamarro”, senza guardare in faccia a nessuno)

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81.Alla scoperta dei “vasulari”. Storia passata e recente di Boscoreale

Articolo a cura di Ezio Petrillo

Immersi nel mondo iper-tecnologico di oggi, spesso tendiamo a dimenticare. Ma non   lo facciamo apposta. Sono i nuovi dispositivi tecnologici che, via via con gli anni, si      stanno sostituendo alla nostra mente. Ne alterano facoltà e percezione. Ma    soprattutto memoria. E senza memoria non c’è storia. E senza storia non c’è  identità.

Pertanto si ritiene fondamentale, per salvaguardare le nostre di identità, ripercorrere  la storia dei luoghi che abitiamo, a partire dagli antichi mestieri. Quelli che, ad  esempio, hanno reso possibile lo sviluppo economico e infrastrutturale dei Paesi  Vesuviani e non solo. Uno di questi è il mestiere del “vasularo”, in italiano posatori    di basoli (o basole) e lavoratori della pietra lavica.

Il basolato è una tipologia di pavimentazione stradale che risale addirittura all’antica Roma. Furono i cittadini dell’Impero di Duemila anni fa, infatti, i primi a beneficiare di questo tipo di manto stradale. Le vie urbane e gli snodi che collegavano Roma al territorio circostante necessitavano di materiali che garantissero durata, resistenza e una certa velocità nei trasporti. Il basolo riusciva a garantire tutto questo. Dalle strade dell’Impero Romano a quelle degli abitanti alle falde del Vesuvio, il comune denominatore è rappresentato dal sudore e dal sacrificio di chi, quelle enormi pietre, le lavorava e le posava a terra.

A Boscoreale, dove si può godere di un suolo fertilissimo e della pietra lavica, evidentemente il mestiere del “vasularo” è stato sempre naturalmente affine al territorio circostante. C’è stato un tempo, infatti, in cui il lavoro era davvero la trasformazione, per mano dell’uomo, di oggetti comuni come le pietre, in beni utili per l’intera collettività, come le strade. La famiglia Martire, ad esempio, ha lasciato preziosa testimonianza dei lavori eseguiti grazie alle mani forti e sapienti dei suoi componenti, quasi tutti “vasulari” come Tommaso Martire (al centro nella foto in basso), ultimo interprete di questo antico mestiere. Strade, banchine di porti, piazze, portoni, ancora oggi rappresentano delle vere e proprie opere d’arte di cui spesso non ci accorgiamo perchè fanno parte di quell’arredo urbano che, con troppa facilità, diamo per scontato.

La squadra di lavoro

Per poter portare a termine un lavoro imponente come quello di creazione, messa a  terra e movimentazione dei basoli, ci voleva una squadra ben organizzata e affiatata.  Questa era composta dal mastro “vasularo” e due “votta palo” che preparavano,  ciascuno, un piano di posa, sul quale il manovale addetto alla preparazione della  malta versava la stessa. Essi poi vi adagiavano la pietra da posare e la tenevano ferma  con un palo di ferro. In quel frangente, il mastro “vasularo” vi batteva sopra con una  mazza di ferro, da otto chilogrammi circa, per metterla a livello.

Vi era, inoltre, il misuratore che selezionava le pietre da posare scegliendole della  stessa larghezza. Il suo occhio doveva essere molto attento. Se c’era bisogno, infatti, segnava il pezzo in più da tagliare. Tale lavoro era affidato a uno o due scalpellini, detti di “pianta”, i quali avevano anche il compito di preparare il pezzo di pietra per completare le file di basole sui lati, con un pezzo a forma di triangolo chiamato “spighetto”.

Per la movimentazione delle pietre vi erano due portatori che in origine usavano un’asta di legno detta “varra” alla quale veniva agganciata una corda con catena, detta “musciello”. In pratica si imbragava la pietra, che, una volta sollevata sulle spalle, veniva portata sul luogo di posa. Solo in seguito è arrivato il carrellino con le ruote che allievò la fatica dei portatori. Completava la squadra un manovale addetto al livellamento del letto di posa del lastricato, detto “uomo di pianta”.

 Gli attrezzi

Gli scalpellini utilizzavano scalpelli di ferro con punte di vario tipo. A punta larga, a  punta fine detti “puntilli”, corti e a punta larga detti “scapezzini”,  mazzuola piccola per gli scalpelli, mazzuola media detta “mazzetta ‘e  spacco” poichè dava il colpo finale dopo aver fatto delle incisioni nella pietra con il  “puntillo” (da “puntiare”, ossia dividere in due parti la pietra da posare). Vi era poi la  bocciarda detta “buciarda” per lavorare la parte in vista delle pietre a buccia più o    meno fine.

Per i posatori, invece, c’era il classico piccone detto “sciamarro”, una mazzuola grossa da 8 kg circa detta “’a mazza”, il palo di ferro detto “’o pal e fierr”, i picchetti e le lenze guida fatte di cordame. Vi erano, infine, gli attrezzi per l’impasto, cioè le pale, la zappa, i secchi in ferro per la malta, i secchi di smidollino per il trasporto degli scarti delle lavorazioni, la carriola, la cazzuola.
Per il livellamento, vi erano altri strumenti detti biffe formate da una tavoletta di legno con palo di sostegno dipinte di bianco, poi c’era il “biffone” che era più alto e fatto con due bande colorate, una rossa e una bianca, sempre su sostegno. L’elemento che sorprende è che gli attrezzi per la lavorazione e la posa delle pietre sono rimasti quasi inalterati per millenni.

I mestieri millenari sono accanto a noi ma spesso non facciamo caso al loro valore storico che viene tramandato da secoli. É tempo di riscoprirli e di ridare una memoria storica alla nostra collettività. Senza identità rischiamo di essere come foglie in balia del vento e degli eventi, quando ci sarebbe bisogno di seminare e far crescere nuovi alberi.

Grazie Ezio!

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